Orvieto, Monastero Buon Gesù

00copertina_9_0Il Monastero del Buon Gesù ieri

Il monastero del Buon Gesù si affaccia sulla rupe di Orvieto a occidente, lungo la direttrice occupata dai francescani, secondo una ideale divisione della città per settori di insediamento dei principali ordini mendicanti. La fondazione, nel XVI secolo, è patrocinata dal Comune su proposta del frate minore Cornelio da Bologna, per avere un luogo dove poter raccogliere le giovani meno abbienti impossibilitate ad avere una dote per accedere agli altri monasteri. Le prime giovani si insediano nelle case del defunto Pace Spada, affittate a spese del Comune con un contratto di locazione a decorrenza dal 3 marzo 1559. Sappiamo che alcuni anni dopo, nel 1573, il vescovo Alfonso Binarini, visitatore apostolico, trova le sorelle ancora senza una regola benché vestano l’abito religioso di santa Chiara. Soltanto nel 1612 il monastero sarà istituzionalizzato nell’Ordine di S. Chiara sotto la Regola di Urbano IV. In questi anni la storia della comunità incrocia quella di Muzio Cappelletti, ricco mercante veneziano ma originario di Allerona, piccolo centro del circondario orvietano, e del suo lascito testamentario: un cospicuo patrimonio gestito dal Comune di Orvieto, di cui una parte doveva servire alla fondazione di un monastero. Gli esecutori testamentari, considerata la presenza di ben cinque monasteri in città già consolidati, decisero di devolvere la parte di eredità destinata alla nuova fondazione al Buon Gesù, erogando ogni biennio alcune doti per la monacazione di giovani povere, e di fondare un collegio per l’educazione dei ragazzi.

Il lascito Cappelletti, riservato alle giovani povere, di fatto costituì un bacino di doti per le famiglie che gestivano il Comune, in un tempo in cui le monacazioni forzate erano una prassi sociale largamente condivisa, dando inizio a un periodo di prosperità durato fino al XIX secolo.

Le soppressioni, prima napoleoniche e poi unitarie, portarono con sé l’incameramento indiscriminato dei beni ecclesiastici, fra cui anche i possedimenti su cui si basava l’economia dei monasteri in Età Moderna. Il Buon Gesù subì il processo di soppressione legale ma le sorelle non lasciarono mai lo stabile, che riuscirono a riacquistare dal demanio pubblico nel 1901, grazie alle offerte di benefattori e parenti.  Proprio nella bufera delle soppressioni, che scardinava i fondamenti di una prassi consolidata da secoli, si farà strada una rinnovata esigenza di riforma spirituale. Nel 1835 viene inserita la vita comune, e sia la biblioteca che l’archivio testimoniano un recupero della memoria di santa Chiara. Questa sensibilità insieme alla perdita dei beni, come per tante altre comunità, creerà inaspettatamente le condizioni per il ritorno legislativo, negli anni Trenta del ‘900, alla Regola di s. Chiara.

Il Monastero del Buon Gesù oggi

Il monastero del Buon Gesù, come la casa sulla roccia, ha attraversato stagioni e tempi della storia e della Chiesa. Scalfito dalle tempeste ma ancora ritto annuncia che l’alba della Resurrezione ha vinto le tenebre della morte. Oggi siamo una comunità in cammino, sentinelle che si avvicendano nella veglia a quante ci hanno preceduto e generato nella fede, che vivono la fatica della lotta e la bellezza della novità sorprendente di Dio, rinnovando ogni giorno il desiderio e l’impegno di vivere insieme il Vangelo, in santa unità, in povertà e in una più stretta separazione dal mondo attraverso la forma claustrale.

La fraternità, tensione continua verso la santa unità, è dono dall’alto ma anche viaggio non sempre facile verso l’altra, nella preghiera e nel dialogo, nel perdono dato e ricevuto, nella ricchezza e nella povertà che ciascuna è chiamata a mettere in comune a utilità di tutte per il bene della Chiesa. Essa ha i suoi momenti qualificati nel ritmo settimanale del capitolo, in cui cerchiamo insieme ciò che è meglio per il bene comune, e della condivisione intorno alla Parola di Dio la domenica mattina, e mensilmente nelle revisione di vita a conclusione della giornata di ritiro spirituale, nella quale ciascuna può liberamente ringraziare il Signore per quanto sta operando nella propria vita e chiedere perdono alle sorelle delle mancanze.

La povertà è una sfida sempre aperta in un mondo che con le sue provocazioni attraversa le mura del monastero. La povertà è tensione a una vita essenziale, condivisione della fatica del lavoro, esperienza di Provvidenza attraverso i fratelli.

La vita integralmente contemplativa, fa sorgere in molti ancora oggi l’interrogativo: «Perché tanto spreco?». La Chiesa risponde ancora con Gesù: «Lasciala fare!» Gv 12,8. Sul limitare della grata, che per noi segna visibilmente una vita dedicata esclusivamente al servizio di Dio, si arresta ogni umana ragione e si accede all’avventura della fede.

Questi elementi si declinano nella nostra giornata, collaborazione alla missione della Chiesa, che celebra, lavora, contempla nel tempo la Vita senza fine. Si svolge in un clima di raccoglimento attraverso la sapiente alternanza della liturgia delle Ore, santificazione del tempo a nome di tutta la Chiesa, preghiera personale, lavoro – produzione di ostie, iconografia, oggetti in cuoio, decorazione di candele e ceri pasquali – e fraternità, un laboratorio di vita e di fede in cui imparare a leggere i segni della presenza di Dio nella storia, dentro e fuori di noi.

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